«Vorremo altre mani per sentirci più leggeri e più forti nel vincere questa guerra e poter tornare al più presto felici, spensierati e soprattutto riabbracciarci guardandoci negli occhi ed esclamare: “Ce l’abbiamo fatta!”»
Il nosocomio avellinese “Moscati” sta vivendo giorni di grande emergenza. Tra mancanza di giusti DPI (dispositivi di protezione individuale) e carenze strutturali, gli operatori stanno cercando di svolgere il proprio al lavoro al meglio, così come ci ha raccontato Francesca, infermiera atripaldese in servizio presso l’ospedale irpino: «Attualmente sto a casa dopo aver subito un intervento chirurgico. Il mio cuore, però, è lì con tutti i miei colleghi che purtroppo non dispongono delle giuste armi per vincere questa guerra».
A mancare, infatti, sono i DPI: «Ci mancano tute, occhiali, maschere ffp2 ffp3, visiere. I DPI per le vie respiratorie sono diversi in base allo scopo per cui devono essere impiegati. La protezione è garantita dalla capacità filtrante dei dispositivi in grado di trattenere le particelle aero-disperse – spiega Francesca – per lo più in funzione delle dimensioni, della forma e della densità, impedendone l’inalazione. I DPI più utilizzati per la protezione delle vie aeree sono le semi-maschere filtranti monouso che soddisfano i requisiti richiesti dalla norma tecnica UNI EN 149:2001. Questi sono dispositivi muniti di filtri che proteggono bocca, naso e mento; si suddividono in tre classi in funzione dell’efficienza filtrante: FFP1, FFP2 e FFP3. Non è molto difficile da capire la differenza – continua Francesca – ma se non abbiamo tutte queste cose mettiamo a rischio la nostra salute impiegando tempo prezioso per abbattere questo grande muro».
A questo proposito, segnaliamo cha la “Capaldo spa” ha donato giovedì mattina 500 mascherine al “Moscati” e nei prossimi giorni ne donerà altrettante insieme ad altro materiale sanitario.
Inoltre, è stata attivata una raccolta fondi per l’ospedale (maggiori info sul sito della struttura ospedaliera).
Infine l’ultimo appello di Francesca, che negli scorsi mesi ha ricevuto un encomio dall’ospedale per aver salvato la vita ad una collega: «Non chiediamo l’impossibile. Cerchiamo solo di dimostrare a tutti quanto siamo capaci di essere uniti in questo momento di grande tristezza, noi ce la stiamo mettendo tutta, corpo e anima, ma alcune volte non basta. Vorremo altre mani per sentirci più leggeri e più forti nel vincere questa guerra e poter tornare al più presto felici, spensierati e soprattutto riabbracciarci guardandoci negli occhi ed esclamare: “Ce l’abbiamo fatta!”».