La visita di Luigi e Gianni Sessa: un po’ di Atripalda tra Milano e New York


Storie umane e professionali che rivelano ambizioni imprenditoriali e politiche di una famiglia del Mezzogiorno

Luigi e Gianni Sessa con Raffaele La Sala nei giardini di Palazzo Caracciolo con le volontarie della Pro Loco Chiara e Federica

Sono quegli eventi che un po’ fanno la storia delle comunità, incontri che nascono dal caso o dalla volontà caparbia e innocente di riappropriarsi del proprio passato e del proprio vissuto, con emozione e indulgenza per il tempo che passa. Due Sessa, Luigi e Gianni, discendenti diretti dei fratelli Bartolomeo e Arcangelo dell’antica famiglia dei ramari di Fisciano (che nella seconda metà del ‘700 trasferiscono stabilmente attività e commerci ad Atripalda) riannodano il filo di una lunga storia familiare che racconta i passaggi cruciali della storia del Mezzogiorno in età moderna. Luigi (che ad Atripalda è nato nel 1931 a Capolatorre e appena quindicenne si trasferisce, con la madre Vincenza Cucciniello e la sorella Margherita, a Milano e poi negli States) e Giovan Giuseppe (che invece è nato a Portici nel 1936, unico figlio maschio del notaio Vincenzo, che tra Atripalda e Castelvetere ha trascorso ampi squarci di adolescenza) si ritrovano in due calde giornate di ottobre e si scoprono parte di una storia comune lunga oltre due secoli.

Da qualche anno Luigi torna ad Atripalda con scandita puntualità, anche se vive da più di 60 anni in America dove ha stampato cataloghi d’arte per il Metropolitan Museum di New York e per i più grandi artisti del secondo ‘900; Giovan Giuseppe, invece, notaio come il padre Vincenzo Vittorio (il poeta e il Diogene di Furore) con sede notarile a Vallata prima del trasferimento e il brillante successo professionale a Milano, aveva diradato i contatti e non tornava da tempo. Attraverso le loro storie umane e professionali si dipanano le ambizioni imprenditoriali e politiche e infine professionali di una famiglia del Mezzogiorno, ne incarnano i cicli sociali, le ascese e le cadute da un artigianato proto industriale, al patriziato cittadino, alla rendita fondiaria, al monopolio di alcune professioni delle quali vissero il prestigio e il declino.

Nel loro incontro, del quale siamo discreti e affascinati testimoni, va in scena inevitabilmente anche il dolce e commovente amarcord di un’Atripalda che non c’è più, beninteso né migliore né peggiore di quella di oggi, forse solo un po’ più confusa nelle sue vocazioni e nelle sue prospettive e un po’ meno comunità.

La famiglia Sessa si riaffaccia dalle ricerche d’archivio con una chiara fisionomia nella storia cittadina tra XVIII e XX secolo. Da Gaetano, erario e cioè amministratore, del Principe Giovanni Caracciolo (l’ultimo prima della eversione feudale e nel 1791 sindaco di Atripalda, della quale inaugura la documentazione archivistica), ai sindaci Salvatore Maria (1810), Antonio (1831-33), Lucio (per due mandati 1853-1858), Giovan Giuseppe (1871-1873) i due rami dei Sessa di Atripalda attraversano gli snodi della storia d’Italia, dalla protoindustria, alla amministrazione feudale, alla rivoluzione napoletana del 1799, dal decennio napoleonico al ritorno e al crollo della dinastia Borbonica, alla crisi dell’apparato industriale di Atripalda e al suo pressoché definitivo declino dopo l’Unità d’Italia. Poi fu, per gli eredi di Bartolomeo, l’amministrazione di un consistente patrimonio fondiario e la colta e affascinante sensibilità intellettuale di Vincenzo Sessa (e le sue scelte estrose e stravaganti, per le quali oggi il figlio Giovanni ricorda con pudica e indulgente memoria), e la caparbia e luminosa ripartenza di Luigi da una condizione di disagio, resa più aspra e dolorosa in una cittadina che fu per due anni teatro di guerra.

La visita ai luoghi accumula ricordi ed emozioni: il giardino di Palazzo Caracciolo (grazie alla disponibilità della Pro Loco, con Lello Labate e le volontarie del servizio civile Chiara e Federica), lo Specus Martyrum e la bottega d’arte di Carmine Tranchese, i falò di San Sabino, i giochi nel cortile del Palazzo a largo Mercato, Capolatorre, lo zio Luigi che gestiva Poste e Telegrafi nella Dogana in piazza sul lato del fiume proprio dove ora c’è un piccolo antiquarium di reperti di spoglio: e i ricordi di Carmine Cioppa e di Andrea De Vinco che ricompongono la trama di storie e profili che il tempo neppure appanna. Intanto si potrebbe ricordare il venticinquesimo anniversario della scomparsa del notaio Vincenzo Sessa (Atripalda 1903-1994), intitolando alla famiglia Sessa, come era nelle sue volontà, il parco pubblico che oggi finalmente, per iniziativa di alcuni giovani di talento, sembra ritrovare vocazione e funzione, o almeno apporre una targa nell’imponente ed elegante portale del palazzo di famiglia ricollocato nella Dogana. Forse anche così si riannoda il filo di una comunità e di una storia.

Raffaele La Sala



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